Ricorso  per  la  regione  Toscana  in  persona del presidente pro-
 temporedella giunta regionale, rappresentato e difeso per mandato  in
 calce  al presente atto dagli avvocati Vito Vacchi e Nino Ferrelli ed
 elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Fabio Lorenzoni,
 in Roma, via Alessandria, n. 130, in  forza  di  deliberazione  della
 giunta  regionale  del  24  gennaio  1992,  contro  il Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri  pro-tempore   per   la   dichiarazione   di
 illegittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma, lett. a), del
 comma n. 2; dell'art. 4, secondo comma, lett.  c); art. 6 della legge
 30  dicembre  1991,  n. 411 "Conversione in legge, con modificazione,
 del d.-l. 6 novembre 1991, n. 352, recante proroga del termine di cui
 all'art. 3 della legge 18 ottobre 1961, n.   1048, relativo  all'Ente
 autonomo per la bonifica, l'irrigazione e la valorizzazione fondiaria
 nelle province di Arezzo, Perugia, Siena e Terni".
    1. - Sulla Gazzetta Ufficiale n. 304 del 30 dicembre 1991 e' stata
 pubblicata  la  legge n. 412 avente ad oggetto la proroga del termine
 di  cui  all'art.  3   della   legge   n.   1048/1961,   nonche'   la
 ristrutturazione  complessiva  dell'Ente  autonomo  per  la bonifica,
 l'irrigazione e la valorizzazione fondiaria nelle province di Arezzo,
 Perugia, Siena e Terni.
    In particolare l'art. 2, primo comma, lett. a) dispone che  l'Ente
 provvede "alla progettazione ed alla esecuzione di opere di accumulo,
 adduzione   e  distribuzione  delle  acque  a  scopo  prevalentemente
 irriguo, nonche' alla relativa gestione,  esercizio  e  manutenzione,
 nell'ambito delle competenze attribuite al Ministero dell'agricoltura
 e  delle  foreste  dalla legislazione vigente". La formulazione della
 disposizione, volutamente ambigua, e' solo apparentemente  rispettosa
 delle  competenze  regionali. A tal fine, e' necessario ricordare che
 le competenze che residuano all'Ente, successivamente ai  decreti  di
 trasferimento  delle  competenze alle regioni, sono state determinate
 con il d.P.R. 18 aprile 1979 (Gazzetta Ufficiale 18 giugno  1979,  n.
 165).  Successivamente non sono intervenute ulteriori disposizioni in
 materia, per  cui  e'  legittimo  ritenere  che  il  complesso  delle
 competenze   sia   da   ricondurre   nell'ambito   di  quelle  allora
 individuate. A conferma di cio', la stessa legge  impugnata  provvede
 espressamente    a   circoscrivere   le   competenze   esclusivamente
 "nell'ambito delle disposizioni di cui al  d.P.R.  18  aprile  1979".
 Orbene,  sulla  base  del  d.P.R.  18  aprile 1979, art. 1, lett. a),
 l'Ente aveva i seguenti compiti: "progettazione ed  esecuzione  delle
 opere  idrauliche  di  seconda  categoria  di cui all'art. 2, secondo
 comma, della legge 18  ottobre  1961,  n.  1048,  relative  a  bacini
 idrografici  interregionali,  individuati con il d.P.C.M. 22 dicembre
 1977, n. 13551, previste dagli artt. 89 e 91 del d.P.R. n. 616/1877 o
 dall'art. 12, ultimo comma, della legge 27 dicembre  1977,  n.  984".
 Rispetto  a  tale  previsione  residuano attualmente all'Ente le sole
 competenze ex art. 12, ultimo comma, della legge 27 dicembre 1977, n.
 984, per essere state delegate alle regioni le altre funzioni  a  far
 data  dal  1› gennaio 1980 come prescritto dall'art. 89 del d.P.R. n.
 616/1977. Tali residue competenze (art. 12 della legge  n.  984/1977)
 afferiscono  esclusivamente  "alle  opere  di  accumulo  di  acqua  a
 prevalente scopo irriguo nonche' le opere  primarie  di  adduzione  e
 riparto  delle acque ad uso irriguo". Cio' stante, l'art. 2, lett. a)
 della legge n.   411/1991, prescrive:  (L'Ente  provvede  nell'ambito
 delle   disposizioni   di  cui  al  d.P.R.  18  aprile  1979),  "alla
 progettazione e alla esecuzione di opere  di  accumulo,  adduzione  e
 distribuzione  delle  acque  a  scopo  prevalentemente  irriguo. Tale
 disposizione  e'  evidentemente  in  contrasto  con   la   precedente
 definizione  in  quanto  non sarebbero piu' solo le opere primarie di
 adduzione di competenza  statale  (e  dunque  esercitabili  dall'Ente
 quale  suo  organismo  strumentale), ma anche quelle non primarie; ed
 inoltre non piu' solo le opere primarie di riparto, ma tutte le opere
 di distribuzione delle acque. Nel non ricordare l'inciso "primarie" e
 nel  trasformare il riparto in distribuzione, si viola dunque in modo
 palese ed illegittimo la competenza regionale in materia di  bonifica
 ed irrigazione.
    2.  -  L'art. 2, secondo comma, della legge n. 411/1991 stabilisce
 che "l'Ente puo' provvedere ad interventi in materia di realizzazione
 manutenzione ed esercizio di opere  pubbliche  irrigue,  di  bonifica
 idraulica  ed  infrastrutturali,  su  incarico  o  concessione  delle
 regioni Umbria e Toscana, nonche' agli interventi che,  nelle  stesse
 materie,  siano  ad  esso  affidati  da enti locali territoriali". Da
 questa previsione discende la possibilita' per la regione e  per  gli
 enti  locali  di  far  ricorso all'Ente per svolgere interventi nelle
 materie di sua competenza. Cosi'  facendo  e'  stato  determinato  un
 ulteriore  modo  "legittimo" attraverso il quale la regione Toscana e
 gli enti locali della Toscana possono svolgere le  loro  funzioni  in
 materia  di  bonifica,  alterando, con cio', il riparto di competenze
 Stato-Regioni. Infatti, ai sensi dell'art. 117 della  Costituzione  e
 del  d.P.R. n. 616/1977, sono le regioni che, nel rispetto dei limiti
 legislativi regionali, stabiliscono i modi attraverso  i  quali  sono
 svolte  le  funzioni  di loro competenza, tra cui la bonifica. In tal
 senso la regione Toscana ha da tempo disciplinato la materia  con  la
 legge  regionale  Toscana  23  dicembre  1977,  n.  83  (e successive
 modifiche)  "Norme  in  materia  di  bonifica  e   di   miglioramento
 fondiario.  Delega di funzioni agli enti locali". L'attribuzione alle
 regioni  di  competenza   legislativa   e   amministrativa   implica,
 ovviamente,  come implicita conseguenza, un limite per il legislatore
 statale  nella  previsione  delle  modalita'  di  svolgimento   delle
 funzioni  medesime. Ora, il prevedere, per mezzo di una legge statale
 non di principio, un modo alternativo attraverso il  quale  gli  enti
 locali  possono  svolgere  funzioni  di  bonifica  altera  il  quadro
 giuridico-istituzionale  che  la  regione  ha  definito,   prevedendo
 all'art.   9  della  legge  regionale  n.  83/1977  le  modalita'  di
 svolgimento delle attivita' di progettazione, esecuzione, esercizio e
 manutenzione delle opere, direttamente o  per  concessione.  Inoltre,
 anche  la  previsione  di  un modo alternativo attraverso il quale la
 stessa regione puo' svolgere  opere  di  bonifica  (cioe'  attraverso
 l'utilizzazione  dell'ente  in questione), altera il centrale momento
 di riferimento amministrativo della funzione di bonifica, cosi'  come
 previsto  nella  legge  regionale ricordata, dato dall'affidamento di
 tali funzioni a province e comunita' montane.
    3. - L'art. 4  della  legge  n.  411/1991,  definisce  gli  organi
 dell'ente,  ed al comma secondo, lett. c) stabilisce che il Consiglio
 di amministrazione e' composto, tra gli altri, da "tre rappresentanti
 della regione Toscana designati dal Consiglio regionale, in modo  che
 sia   assicurata  la  presenza  di  almeno  un  rappresentante  delle
 minoranze". Questa previsione lede la sfera di  competenza  regionale
 garantita  dall'art. 123 della Costituzione, ai sensi del quale "ogni
 regione ha uno statuto il quale, in armonia con la Costituzione e con
 le   leggi   della   repubblica,   stabilisce   le   norme   relative
 all'organizzazione   interna   della  regione".  Spetta  quindi  alla
 regione, per mezzo dello statuto e delle sue leggi,  disciplinare  il
 riparto   delle   competenze   tra   i  diversi  organi;  cio'  anche
 relativamente alle nomine e designazioni di rappresentanti  regionali
 in  enti  terzi.  Che  debba  essere  il consiglio anziche' la giunta
 regionale  o  il presidente della giunta a designare i rappresentanti
 regionali in seno al consiglio di amministrazione dell'ente  de  qua,
 non  puo'  essere  scelta  disponibile per il legislatore statale. Al
 contrario, e' la regione che provvede alla designazione tenuto  conto
 dello  statuto e delle leggi, non potendo diversamente essere accolta
 ogni altra  disposizione  che  inciderebbe  inevitabilmente  su  tale
 ambito organizzativo discrezionale. Cio', indipendentemente dal fatto
 che  il  contenuto  della  previsione statale possa condurre anche al
 medesimo risultato cui legittimamente la regione perviene  applicando
 le proprie norme statutarie e legislative.
    4.  -  L'art.  6  della  legge  n.  411/1991  definisce l' ex ente
 autonomo per la bonifica, l'irrigazione e la valorizzazione fondiaria
 nelle province di Arezzo, Perugia, Siena e Terni quale "ente  irriguo
 Umbro-Toscano".  La modificazione, come e' facilmente rilevabile, non
 e' solo di natura meramente formale. In realta' la  legge  ha  inteso
 strutturare  l'ente  in  modo  tale da assegnargli una sorta di ruolo
 strumentale a servizio, oltre che  dello  Stato,  delle  due  regioni
 interessate.   Una   tale   definizione  (quella  cioe'  di  soggetto
 strumentale delle regioni), facilmente  ricavabile  oltre  che  dalla
 denominazione   in  questione,  dal  rilevante  coinvolgimento  delle
 regioni previsto dalla norma (che francamente  sarebbe  difficilmente
 comprensibile  nel caso che l'ente altro non fosse se non un soggetto
 strumentale dello Stato per l'esercizio di talune sue competenze). Se
 cio' e' vero, ne discende che la  previsione  viola  palesemente  sia
 l'art. 118 della Costituzione sia l'art. 57 dello statuto toscano che
 definisce  i  presupposti, i requisiti e le modalita' operative degli
 enti dipendenti regionali. A tal fine, e' utile  ricordare  che,  per
 disposizione  statutaria  (art.  57), la regione puo' provvedere alla
 entificazione in una determinata materia  quando  le  competenze  non
 siano delegabili agli enti locali per la loro natura e dimensione. La
 via   ordinaria   di  esercizio  delle  proprie  funzioni  e  per  lo
 svolgimento delle proprie attivita' e' cioe' quella della delega agli
 enti locali; cio' in perfetta armonia con la previsione dell'art. 118
 della Costituzione, secondo cui la regione "esercita  normalmente  le
 sue funzioni amministrative delegandole alle province, ai comuni o ad
 altri enti locali, o valendosi dei loro uffici". Solo quando cio' non
 possa essere realizzato per moditi afferenti alla natura o dimensione
 delle  funzioni  e'  possibile  pensare a forme diverse di esercizio.
 Nella materia che ci interessa, come abbiamo gia' avuto occasione  di
 ricordare,  la regione ha gia' provveduto mediante la legge regionale
 n. 83/1977, a delegare le competenze agli enti locali; con il che,  a
 nostro  avviso, e' stato implicitamente reso impossibile il ricorso a
 forme di gestioni diverse da quelle gia' definite. In  altre  parole,
 nemmeno  la  regione,  ove per pura ipotesi lo volesse fare, potrebbe
 fare ricorso, dopo avere scelto la via ordinaria della  delega,  alla
 istituzione  nella  medesima  materia,  per  l'esercizio delle stesse
 competenze, di un ente strumentale. A maggior ragione  non  riteniamo
 possa  farlo lo Stato; conseguentemente non puo' non ravvisarsi nella
 definizione operata dalla legge n. 411/1991,  una  chiara  violazione
 dell'art. 57 dello statuto regionale.
    In  realta',  riteniamo che le contraddizioni di cui e' ampiamente
 permeata la legge impugnata, altro non sono se non il risvolto  delle
 difficolta'  incontrate  dal  legislatore  nazionale  di  trovare uno
 spazio operativo ad un  soggetto  istituzionale  che,  se  aveva  una
 ragione  di  esistenza  negli  anni in cui prese vita (le regioni non
 erano ancora istituite), oggi certamente e' molto piu'  difficilmente
 ravvisabile.  A  tale  proposito,  nel  corso dei lavori parlamentari
 durante l'iter legislativo,  le  regioni  hanno  congiuntamente  piu'
 volte  manifestato  rilevanti  perplessita'  sia sulle proposte a suo
 tempo avanzate, sia,  per  quanto  possibile  dato  le  modalita'  di
 repentina  approvazione,  sul  testo attualmente vigente. Ragioni che
 con una certa difficolta' riteniamo possano essere  coniugate  con  i
 principi  di  cui  all'art.  97  della  Costituzione,  hanno tuttavia
 portato  alla  attuale  determinazione  da  cui,  se  non  dichiarata
 incostituzionale,  nasceranno rilevanti problemi operativi, oltre che
 pericolose e confuse sovrapposizioni istituzionali.